“Chi va piano va sano e va lontano”.
Te lo insegnano fin da piccoli. Poi certo ci sono i Valentino Rossi, i Charles Leclerc e via dicendo che hanno fatto della velocità una professione. Ma tant’è.
Si sa che ogni cosa per crescere ha bisogno di tempo e che la fretta è cattiva consigliera. Allo stesso tempo, senza scadenze, gli obiettivi rischiano di essere trascurati, messi da parte, ricalcolati manco fossero i tragitti alternativi di Google Maps.
Ognuno di noi giornalmente si ritrova davanti al proprio obiettivo (fosse solo uno…), da traguardare in un tempo massimo. Certo, più è difficile l’obiettivo e più, probabilmente, avremo difficoltà a raggiungerlo. Per molte imprese, soprattutto quelle a più elevata impronta ecologica, c’è il target della decarbonizzazione, che è tra i più alti, più impegnativi e, per forza di cose, più ostici da traguardare. E il 2030, prima vera deadline ufficiale (la seconda sarebbe poi il 2050) è dietro l’angolo. E la domanda che viene da porsi è: a che punto siamo?
Questa è una domanda che rivolgiamo molto volentieri a chi osserva la situazione da un punto di osservazione più alto del nostro, utile per analizzare il contesto e la situazione in cui versa tutto il sistema economico (in particolare quello manifatturiero). Ci risponde il professor Giovanni Valotti, Professore Ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche del Dipartimento di Scienze sociali e politiche presso l'Università Bocconi e Presidente del Comitato di Sostenibilità di Feralpi Group.
Professor Valotti, a che punto siamo con la decarbonizzazione e gli obiettivi di riduzione delle emissioni che l’Europa richiede entro il 2030?
Un punto di partenza utile è ricordare che tre sono gli obiettivi fondamentali del Green Deal europeo: azzerare le emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050, garantire la dissociazione della crescita economica dall'uso delle risorse e assicurare che nessuna persona e nessun luogo siano trascurati. Questo evidenzia come non sia importante solo raggiungere il target, ambizioso, della neutralità climatica, ma anche il modo in cui esso viene conseguito. Non a caso il dibattito attuale si concentra sia sul potenziale conflitto tra esigenze di crescita economica e misure di protezione ambientale, sia sul contrasto tra paesi economicamente avanzati e paesi in via di sviluppo e sulle rispettive responsabilità nella lotta al cambiamento climatico a livello globale.
Le politiche da attuare sono necessariamente di lungo periodo. L’aver fissato il target intermedio di riduzione del 55% delle emissioni al 2030, con prospettiva di rimodulazione al 2040, ha contribuito a dare concretezza agli interventi e a esercitare la giusta pressione per il raggiungimento dei risultati attesi. Allo stato attuale possiamo dire che siamo sulla strada giusta e che i target al 2030 restano raggiungibili, a meno di rilevanti cambi di orientamento delle politiche o di eventi esterni imprevedibili.
Alla luce della recente COP30 a Bélem, la situazione globale rimane complessa, ma emergono segnali incoraggianti. La conferenza ha ribadito l’urgenza di accelerare le azioni di decarbonizzazione a livello mondiale, evidenziando come molti paesi faticano ancora a tradurre gli impegni in politiche concrete. È emersa la necessità di rafforzare la cooperazione internazionale, garantire supporto finanziario e tecnologico ai paesi in via di sviluppo e implementare meccanismi di accountability più rigorosi.
Per l’Europa, gli obiettivi al 2030 restano coerenti con le linee del Green Deal, e la COP30 ha sottolineato l’importanza di non rallentare la transizione energetica, puntando su efficienza, innovazione tecnologica e sostegno agli investimenti sostenibili. In sintesi, i target di riduzione del 55% delle emissioni al 2030 rimangono raggiungibili, ma la conferenza ha ricordato con forza che il “come” raggiungerli - attraverso giustizia climatica, equità sociale e resilienza economica - sarà determinante per il successo a lungo termine.
Quali sono i settori che hanno dimostrato un maggior impegno e quali devono “recuperare” terreno?
Sicuramente quello dell'energia, attraverso le politiche di transizione energetica, il boom delle rinnovabili e la riduzione conseguente dell'incidenza delle fonti fossili tradizionali, gas e carbone. Segue l'industria - seppure con differenze per settori e dimensioni aziendali - che ha investito molto sia sul fronte delle tecnologie a supporto della riduzione delle emissioni che dell'efficienza energetica. Anche l'economia circolare, in particolare in Italia, ha conosciuto un importante sviluppo, con una quota sempre più importante di materia destinata al riciclo e al riuso. Più in ritardo sono invece settori importanti come i trasporti, dove il percorso di elettrificazione ha conosciuto forti rallentamenti, o l'agricoltura dove il tasso di innovazione è più rallentato. Infine non va dimenticata la tematica degli edifici, pubblici o privati, le cui emissioni sono in particolare rilevanti nelle aree ad alta intensità abitativa. Nell'insieme prevale un cauto ottimismo.
Ci viene da chiedere, ma intuiamo la risposta, è se le organizzazioni riusciranno a traguardare, in modo coeso, tale traguardo.
Partiamo da un presupposto: nessun attore, preso singolarmente, è in grado di assicurare il raggiungimento dei traguardi al 2030 e al 2050. Purtroppo le questioni ambientali sono sempre più al centro di confronto politico, spesso al limite dell'ideologico, piuttosto che focalizzate sulle politiche, ovvero sulle cose da fare e che sono necessarie. Questo vale anche per le imprese, il cui grado di maturità su questi temi è fortemente disomogeneo, ma fortunatamente con la sempre maggiore diffusione di casi di eccellenza accompagnati tuttavia da situazioni di rilevante arretratezza. Poi ci sono i singoli cittadini, da un lato chiamati sempre più ad adottare comportamenti responsabili e dall'altro possibili protagonisti di un cambiamento culturale capace di esercitare la giusta pressione sia sulla politica che sul mondo imprenditoriale. Da questo punto di vista rassicura il fatto che le nuove generazioni, mostrano una sensibilità a questi temi sicuramente superiore rispetto al passato.
Da cosa dipende il raggiungimento dei traguardi sopra citati e quali fattori potrebbero agevolare tale percorso?
La parola chiave a mio avviso è continuità. Sicuramente è richiesta una certa flessibilità per modulare politiche e interventi rispetto all'impatto e all'evoluzione complessiva degli scenari economici e sociali. Senza tuttavia mettere in discussione la visione di lungo termine e i correlati target da raggiungere. In secondo luogo serve condivisione e sforzo congiunto tra tutti gli attori in campo: istituzioni, imprese, operatori finanziari, media, cittadini.In terzo luogo, servono i giusti incentivi e una buona regolazione indipendente. Infine, servirebbe meno burocrazia: la lentezza, complessità e incertezza dei processi autorizzativi per tutti gli investimenti in campo energetico e ambientale rallenta drammaticamente i processi di transizione in atto e, peggio ancora, non di rado determina una riallocazione degli investimenti su altri ambiti. Non meno importante, va scongiurato il rischio dell'eccessivo tecnicismo sui temi della sostenibilità. La sostenibilità va spiegata e fatta capire in primo luogo ai non addetti ai lavori, con un linguaggio facile e accessibile. Il recente orientamento UE in merito alla proroga o addirittura esenzione degli obblighi di rendicontazione in questa materia per le imprese non deve rappresentare un passo indietro ma un ragionevole compromesso a favore della diffusione sostanziale di una cultura della sostenibilità.
Molte aziende si sono impegnate, con importanti investimenti. C’è un rischio che tale impegno, fin qui portato avanti, venga vanificato?
La politica va ad ondate, l'ambiente fa il suo corso. Il bisogno di investire sulla sostenibilità è concreto e reale. Le imprese leader nei rispettivi settori condividono il fatto di essere fortemente orientate ai temi della sostenibilità, al punto che diventa difficile distinguere il piano industriale dal piano della sostenibilità. Le aziende più evolute stanno costruendo piani industriali sostenibili, nei quali i classici obiettivi di business ed economici sempre si accompagnano a indicatori ESG. E non è affatto detto che gli investimenti in campo ambientale siano in contrasto con gli obiettivi di redditività. A seconda dei cicli congiunturali le imprese potranno accelerare o rallentare le politiche di investimento, sempre consapevoli che qualificarsi come azienda sostenibile non ha effetti solo reputazionali ma sarà sempre più condizione di accesso ai mercati nonché vantaggio competitivo. D'altro canto, qualcuno può immaginare che nel 2050 possa esistere un'azienda che non si è allineata su questi piani ai migliori standard del proprio settore di appartenenza?
Feralpi è oggi tra le aziende leader nel settore per l’impegno concreto e strutturato sui temi della sostenibilità. Un percorso iniziato molti anni fa, ben prima che la sostenibilità diventasse una priorità globale, con una visione chiara e una strategia coerente. Un cammino di rendicontazione iniziato nel 2004, a cui è seguito il primo bilancio di sostenibilità, a testimonianza della volontà di rendere trasparente e misurabile il proprio impegno. Oggi questo percorso si traduce in obiettivi ambientali, sociali ed economici ambiziosi da raggiungere entro il 2030, sotto la guida di una governance dedicata che assicura l’integrazione della sostenibilità in tutte le scelte strategiche del Gruppo. Il piano industriale e le politiche di investimento sono pienamente orientati al raggiungimento di questi traguardi, confermando come la sostenibilità sia parte integrante della strategia aziendale. Elemento distintivo dell’approccio ESG di Feralpi è la capacità di combinare la transizione ecologica con una forte attenzione alle persone. Ne sono prova l’impegno costante per la sicurezza e il benessere dei lavoratori, così come gli investimenti mirati per la loro crescita e valorizzazione professionale. Sostenibilità, per Feralpi, significa futuro. Un futuro da costruire insieme.
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Giovanni Valotti
Professore Ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche del Dipartimento di Scienze sociali e politiche presso l'Università Bocconi. Ha ricoperto incarichi di primo piano nel settore pubblico e privato, ricoprendo tra gli altri il ruolo di Presidente di MM, A2A e di Utilitalia. Advisor di diverse aziende e istituzioni. Vincitore del premio di Eccellenza nella Ricerca dell’Università Bocconi e del premio Manager delle Utilities - Sezione Servizi Pubblici Locali. Autore di diverse monografie, numerosi articoli su riviste scientifiche nazionali e internazionali, svariati articoli sui quotidiani nazionali tra i quali Il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore. In Feralpi Group è Presidente del Comitato di Sostenibilità.