

Esistono almeno dieci grandi cluster legati all’industria e alla produzione di beni.
Ogni rappresentante - quindi aziende - avrà sui rispettivi materiali di comunicazione la parola “responsabilità” associata alla propria produzione. E, d’altra parte, nel 2025, non potrebbe essere diversamente.
L’input è preciso e arriva non solo dalle istituzioni, ma anche dal cliente: almeno all’interno del continente (fuori UE sono per così dire un po’ meno puntuali, ma occhio che il vento sta cambiando…) l’obiettivo è di ridurre gli impatti delle produzioni.
Se è vero che tutti i più importanti settori (anche se non tutti gli operatori) si muovono sul fronte della responsabilità - che sia ambientale o anche sociale - a creare una netta distinzione sono le tempistiche legate all’inizio di tali impegni. Dal riutilizzo della carta alla ricerca di energie meno impattanti, dagli imballaggi riciclati al riutilizzo di vestiti per combattere il "fast fashion", sensibilizzazione e cultura nel tempo hanno influenzato le dinamiche economiche. Certo, nel B2C, quindi nel business dedicato ai consumatori ovvero quelli che cercano il prodotto biologico o la maglia con fibre ecosostenibili, ci sono comportamenti consolidati.
Ma il cliente siderurgico?
Il concetto di acciaio sostenibile è di fatto più recente. Essendo l’acciaio considerato una commodity, parliamo spesso di un prodotto (e forse a torto) considerato indifferenziato, o almeno apparentemente sostituibile. Il tondo è tondo. Una vergella è tale, al netto delle qualità - quelle volute e ricercate in fase di produzione - per tipologia di prodotto o impiego. Ma non è questo il punto.
La domanda è se anche l’acciaio stia, o meno, risentendo di cambiamenti nelle dinamiche commerciali al pari di altri settori.
Nando Pagnoncelli, amministratore delegato di Ipsos Italia e tra i più noti ricercatore sociale e di mercato italiani, ha risposto a questa domanda partendo dai “numeri”.
Dott. Pagnoncelli, il mondo dell'acciaio tra i tanti settori non viene percepito come fra i più "sostenibili". Tuttavia, è verosimile pensare che ci sia un cambiamento in atto e che anche questo comparto stia cambiando pelle?
A livello di percezione, il settore dell'acciaio non è identificato come un settore ai vertici della sostenibilità, anzi, dalle nostre rilevazioni si colloca all'ultimo posto. Tuttavia, ci sono margini interessanti di sviluppo positivo anche dal punto di vista reputazionale. Si registra una crescita significativa nell'attenzione dei cittadini sul tema della sostenibilità: la percentuale di popolazione che dichiara di conoscere molto bene il tema è salita al 36% (era il 7% nel 2011); l’84% inoltre dichiara di essere interessato alla sostenibilità e tra questi il 25% si informa regolarmente. Relativamente all'acciaio, le percezioni sono diversificate. Il cittadino solitamente associa all’acciaio gli strumenti della quotidianità come pentole, utensili da cucina o fai da te, parti di auto. Andando ad approfondire: il 63% esprime l'auspicio di avere maggiori informazioni sull'acciaio prodotto e sulle aziende; il 60% valuta la qualità dell'acciaio solo attraverso l'"uso e durata del prodotto". Ciò rischia di vanificare gli sforzi, gli impegni e gli investimenti aziendali che non vengono adeguatamente comunicati.
Siamo quindi in un vicolo cieco?
Direi di no. C’è infatti un dato che apre margini di azione: solo un terzo degli intervistati pensa che le aziende "facciano abbastanza" in ambito di sostenibilità ed etica, mentre il 47% pensa che non facciano molto. Questa forbice offre uno spazio enorme per la comunicazione: sia per formare i cittadini sulle procedure e sugli sforzi, sia per renderli edotti sui risultati.
Quali sono gli impegni del comparto siderurgico maggiormente percepiti dalla popolazione? E, come nel B2C, possono impattare sui comportamenti o scelte di acquisto?
Secondo una ricerca del 2024 focalizzata sul settore dell’acciaio, l’impegno in termini di riciclo e supporto al recupero dell’economia circolare delle produzioni si posiziona al primo posto con il 41%. Al secondo posto c’è l’abbattimento fumi ed emissioni in atmosfera (29%). Seguono il recupero di energia termica per la produzione di acqua calda per le comunità locali nei pressi degli impianti (27%), la gestione efficiente delle acque e reimmissione nei processi produttivi (24%) e, al quinto posto con la stessa percentuale, la sicurezza dei lavoratori. Inoltre, segnalo che c’è una maggioranza dei cittadini che dichiara di essere pronta a spendere un po’ di più per un acciaio sostenibile. In questo caso attenzione che la sostenibilità non è solo ambientale, ma anche sociale ed economica.
Considerando le dinamiche attuali e le crescenti aspettative da parte del mercato e dei consumatori, qual è il percorso strategico più efficace che le aziende manifatturiere dovrebbero intraprendere per integrare la sostenibilità nelle proprie operazioni?
Partiamo da un dato fondamentale: quasi due cittadini su tre dichiarano di non essere in grado di distinguere se un’azienda è sostenibile o meno, trovando più facile valutare un prodotto alimentare rispetto a uno del settore dell'acciaio. Qui subentra la necessità di percorrere diverse strade a livello di comunicazione che passano attraverso la formazione e la comprensione dei processi, ma anche attraverso il contrasto allo scetticismo generato da preoccupazioni, contesto e scarsa fiducia. Sebbene solo una minoranza conosca il significato dei termini greenwashing e social washing, il sospetto è ugualmente diffuso. Le aziende in tal senso devono non solo essere in grado di comunicare, ma anche dare garanzie che gli impegni vengano effettivamente tradotti in azioni concrete.
Ritiene che l'enfasi debba ricadere principalmente su un'efficace comunicazione delle iniziative già in atto, oppure è ormai improrogabile un vero e proprio cambio di paradigma sul fronte produttivo e operativo?
Ritengo che gran parte della strada sia già stata fatta dalle aziende leader. Ad esempio, realtà come Feralpi, che conosco e valuto positivamente, si sono poste da subito il tema della cultura della sostenibilità e hanno lavorato sulla logica di filiera, facendosi carico di educare le aziende fornitrici. È quello che fanno le aziende leader.
Pensare di fare una comunicazione settoriale è complesso perché non è un settore di largo consumo e c'è eterogeneità tra i produttori. È evidente che lo sforzo deve essere collettivo. Se guardo ai leader, c'è bisogno di evolvere, ma la direzione è giusta. Nel settore in generale, temo sia più complicato, dato che non tutti hanno adottato le stesse strategie.
Cosa emerge dalle vostre ultime ricerche in merito al mondo della manifattura?
Cogliamo un cambiamento di passo da parte delle aziende, con una crescente enfasi sulla Responsabilità Sociale d’Impresa. Questo ambito è mutato: non è più legato al mecenatismo o alla filantropia, ma si basa sull'idea che l'azienda ha doveri verso portatori di interesse variegati (stakeholder): dipendenti, consumatori, fornitori, azionisti, amministrazioni locali, mondo della formazione, ecc. Le aziende si fanno carico di ascoltare le aspettative di questi ambiti. C'è una grande attenzione verso la sostenibilità sociale, a partire dai propri dipendenti. Una recente ricerca di Unioncamere con Fondazione Symbola parla proprio delle imprese coesive, ovvero quelle che coinvolgono i dipendenti nella formazione e nelle decisioni: su 3.000 aziende valutate, le imprese coesive superano il 40% in Italia e sono in crescita. Il dato più importante è che queste aziende registrano un incremento più significativo in termini di fatturato, investimenti e assunzioni. Questo vuol dire che conviene investire in questo ambito perché c'è un riconoscimento da parte dei diversi stakeholder.
Abbiamo parlato di acciaio e di manifattura. Ambiti che sono strettamente connessi anche al mondo dell’edilizia. In questo caso qual è il feedback su questo comparto?
Anche il settore dell'edilizia sta evolvendo, anche se non ha un riconoscimento pieno. Le opinioni si polarizzano sulla domanda se le aziende facciano abbastanza: 45% pensa di sì, 44% pensa di no. Due persone su tre si reputano etiche davanti alla scelta dei materiali per ristrutturare e sono disponibili a spendere di più. In tal senso, investire in sostenibilità aumenta il valore immobiliare.
Vorrei insistere su un elemento, ovvero che l’attenzione alla sostenibilità è cambiata anche in ragione di un cambiamento del vissuto del prodotto sostenibile. Mi spiego meglio. Ci sono tre “forze” che guidano verso la scelta di prodotti sostenibili: da una parte conta l’etica e i valori personali (7%); poi c’è la paura (23%), connessa ai timori legati al cambiamento climatico al futuro delle nuove generazioni. Tuttavia, l’aspetto che pesa di più – (al 70%) - è la qualità: il prodotto sostenibile è giudicato migliore del prodotto non sostenibile. I dati ci dicono che pensare alla sostenibilità equivale a un prodotto di qualità (70%).
Che lezione apprendiamo quindi dai “freddi” numeri?
Investire in sostenibilità produce vantaggio per chi acquista ma anche per chi vende e produce. Se la qualità è un driver prevalente, nessuno crede alla decrescita felice, ma tutti credono alla crescita sostenibile.
La traduzione di un impegno. Si potrebbe riassumere anche così il concetto che ha portato alla nascita di FERGreen.
Che cos’è FERGreen? Potremmo definirla semplicemente come la gamma di acciai per l’edilizia. Ma non basta. Perché questa gamma è a ridotto impatto. Ma quali tipi di impatti? In primis ambientali. Infatti FERGreen è l'insieme di una strategia di sostenibilità, delle azioni che hanno creato valore in questo percorso, della ricerca allo sviluppo dei nostri processi che oggi possono offrire un acciaio
- a basse emissioni
- con un alto contenuto riciclato (98,6%)
- e con certificazioni trasparenti sulle proprie performance ambientali.
Grazie a tutto questo percorso - a tutto, non solo a questi ultimi tre punti - oggi Feralpi può disporre di una linea di prodotti legati agli acciai per l'edilizia con EPD (Dichiarazioni ambientali di prodotto) tra i best in class del settore.
Nando Pagnoncelli
Nando Pagnoncelli, da 40 anni ricercatore sociale e di mercato, è presidente di Ipsos, società leader in Italia nel settore delle ricerche demoscopiche. Insegna “Analisi della pubblica opinione” presso la Facoltà di Scienze Politiche e sociali dell’Università Cattolica di Milano ed è Presidente della School of Government della LUISS. È Consigliere di amministrazione ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale), membro del Consiglio Direttivo e del Comitato Esecutivo di Touring Club Italiano e del Comitato Scientifico della Fondazione Symbola nonché del Comitato Editoriale del web magazine Inpiù. Collabora con Giovanni Floris al programma Di Martedì e cura la rubrica settimanale Scenari del Corriere della Sera. È autore di saggi su argomenti di attualità sociale.


Quando a 5 anni giocavo al Game Gear (sì, ho messo il link se non sai cosa sia) non potevo sapere che sarei diventato Social Media e Content Manager di Feralpi Group. Probabilmente non vi interessa, ma non ve ne faccio una colpa. Vercellese d’origine, gardesano d’adozione: vivo la vita un quarto di pizza alla volta. E con molta autoironia.