I tempi “veri” per arrivare a CO2 zero
E Energia e ambiente
Edited by Marco Taesi

Essere o non essere? O meglio, decarbonizzare o non decarbonizzare? La risposta è semplice, almeno sulla carta. L’Europa posa le pietre miliari che è necessario raggiungere al 2030, i cittadini pretendono un ambiente più sano per sé e per le nuove generazioni, le imprese sono chiamate ad alleggerire la propria impronta di carbonio. Fin qui, tutto chiaro. Ma il ragionamento lineare finisce qui, perché se porre obiettivi sfidanti è un dovere, fare in modo che siano realmente raggiungibili è una questione di responsabilità e concretezza. E, nei “tempi difficili” che stiamo vivendo, tra post pandemia, conflitti bellici e shock energetici, il quadro si è complicato.

Ne abbiamo parlato con il prof. Massimo Beccarello dell’Università degli Studi di Milano Bicocca e senior advisor per la transizione energetica di Confindustria.

 

Parlare di energia significa anche parlare di emissioni…Il target CO2 dell’Ue al 2030 è ancora raggiungibile? O forse non lo è mai “tecnicamente” stato?

Gli obiettivi al 2030 fissati nel Fit for 55 sono una sfida senza precedenti. Per ora a Bruxelles il dibattito è stato più di natura ideologica che tecnica, privo di una effettiva valutazione dell’impatto economico della transizione, cosa che, al contrario, è assolutamente necessaria nel momento in cui la politica detta un indirizzo e chiede agli stakeholder di adottare queste policy. Come Confindustria abbiamo calcolato una valutazione per la sola Italia. I soli costi diretti fino al 2030 sarebbero di circa 1120 miliardi. Dal 2023 dovremo correre, i tempi fanno rabbrividire. E poi ci sono i costi indiretti. Pensiamo all’automotive e al suo indotto con la fine del motore endotermico: 70mila dipendenti da riqualificare, aziende da sostenere per entrare nelle nuove piattaforme tecnologiche. La mia preoccupazione è che si accompagni una valutazione concreta dell’effettiva sostenibilità economica.

Compensare o investire?

Qual è la strada preferita dalle imprese? Le soluzioni virtuali non sono la risposta alla riduzione delle emissioni. Sono quelle reali che ci porteranno verso la decarbonizzazione, come per esempio autoprodurre energia verde per autoconsumo. Restando nel solco delle energie verdi, ad esempio, oggi esiste un limite dimensionale connesso agli spazi. Se valutiamo tutte le superfici attinenti alle aree industriali è evidente che possiamo raggiungere quantitativi limitati, anche se alla luce degli alti costi dell’energia questi investimenti si autofinanziano in misura significativa. È pertanto necessario garantire spazi per sviluppare energia rinnovabile. Dobbiamo poi fare una riflessione attenta sulla riforma del mercato. Le rinnovabili dovranno essere allineate ai profili di consumo dell’industria. Sarà necessario ripensare l’architettura di mercato. I grandi complessi industriali sono i prosumer ideali nel nuovo mercato elettrico, ma devono essere messi nelle condizioni di farlo, con priorità di accesso, sistemi di accumulo e di peakers per fornire sistemi di bilanciamento alla rete.

Abbiamo passato mesi a vedere le imprese ad alta intensità energetica andare a singhiozzo a causa dei costi dell’energia. Cosa dobbiamo attenderci nei prossimi mesi?

Già da gennaio ci sono stati stop significativi, poi le produzioni sono riprese per mantenere le quote di mercato. Tuttavia, il problema centrale è l’erosione dei margini che mette in crisi le possibilità di autofinanziamento anche dei percorsi verso le rinnovabili o l’efficientamento energetico. A breve, e per tutto il 2023, vedo uno scenario complicato, e comunque fino a quando non ci saranno segnali reali di indipendenza dal gas russo. Nel frattempo, potremmo vedere un aggravarsi degli stop temporanei, o prolungati, causati anche da un problema di offerta di gas e di energia elettrica, sempre a prezzi drammatici. Il rischio di razionamento del gas è concreto. Predisporre un worst-case scenario è un dovere.

Italia e Germania: similitudini e differenze

Questa situazione di grave crisi del gas fa emergere chiaramente le divergenze tra i due Paesi in termini di struttura reale di produzione di energia elettrica. La Germania, che pensava di abbandonare il nucleare, sta pensando addirittura a una sua estensione. Così come l’Italia, anche la Germania sta ricorrendo alla riapertura delle centrali a carbone e lignite. È evidente che questo percorso consente di avere un effetto sul prezzo del gas, nonostante l’alto valore della CO2. Pensiamo poi all’impatto sulla produzione industriale dei vari Paesi europei. Si nota, per esempio, che la Francia sta guadagnando terreno sull’Italia. Quindi, avere una struttura energetica ancorata ai fossili diversi dal gas genera un vantaggio competitivo. Gli industriali francesi hanno avuto per anni circa il 25% dell’energia prodotta in Francia a 42,6 €/MWh (il prezzo medio in Italia nel mese di luglio supera i 500 €/MWh, ndr.). Di fatto, si fa un uso “procompetitivo” dell’energia nucleare.

È vero che il “gas”, agli onori di cronaca, è il ponte della transizione energetica?

Il metano è il combustibile più nobile per accompagnare la transizione energetica. Da una parte è il “ponte”, dall’altra è un elemento che ispira un percorso di transizione anche verso le energie termiche come lo è, ad esempio, il biometano in sostituzione progressiva del metano per quantità interessanti nel segno della decarbonizzazione. Il gas ci porta verso altri due temi: lo sviluppo dell’idrogeno e lo sviluppo della cattura e sequestro della CO2. Peccato che l’Italia, e l’Europa non abbiano scelto la strada di usare il gas per produrre il blu hydrogen, si sarebbero accelerate sia la cattura di CO2 sia la produzione di idrogeno da miscelare nelle reti gas. Il gas è un vero potenziale, in Italia abbiamo circa 110 miliardi di metri cubi di riserve certe. Quando usarle, se non ora?

Quindi, lo zero CO2 non è un miraggio, ma solo questione di tempo?

Nulla è un miraggio perché credo nell’evoluzione tecnologica. Me essa va sostenuta, occorre avere una capacità di contribuzione all’attività di ricerca e sviluppo. Per le imprese il tempo non è una variabile indipendente. Quindi, la saggezza con cui la politica riesce ad ancorare gli obiettivi alla consapevolezza dell’evoluzione tecnologica consentirebbe di avere target razionali e il dovuto impegno da parte delle imprese per poterli raggiungere. Se ci poniamo obiettivi irrealistici, creiamo danni irreversibili, mancando il bersaglio: non riusciremmo a produrre beni e servizi essenziali con minor impatto ambientale.

 

 

Europe's Climate Leaders: Feralpi nel ranking del Financial Times

Investimenti tecnologici, competenze e una pluriennale attività di rendicontazione hanno condotto Feralpi Group ad essere tra gli Europe’s Climate Leader 2022 stilata dal Financial Times. La lista, basata sui dati raccolti dalla Business Data Platform Statista e focalizzata sui reporting finanziari e non finanziari di oltre 4000 aziende, include le imprese con sede in Europa che hanno mostrato la più alta riduzione della loro intensità di emissioni, cioè le loro emissioni di gas serra principali in relazione ai loro ricavi, tra il 2015 e il 2020. Le 400 aziende selezionate sono pertanto quelle che hanno ottenuto la maggiore riduzione dell’intensità delle loro emissioni di gas serra (GHG) tra il 2015 e il 2020. Secondo quanto analizzato da Statista per il Financial Times, la riduzione dell’intensità (scope 1 e 2) anno su anno nel periodo 2015/2020 è stata del 9%, mentre l’intensità di emissioni, calcolate in GHGs in tonnellate per milione di euro di ricavi, è stata di 760,5.Nel cluster “Construction & Building Materials”, nel quale è inserita Feralpi, vi sono solo tre imprese italiane (19 in tutto includendo tutti i settori). Feralpi è, inoltre, l’unica società italiana nel settore siderurgico.

Marco Taesi

In Feralpi mi occupo dell’attività di comunicazione. Sono responsabile delle relazioni coi media e dello sviluppo dei contenuti…digitali e non. Mi piace raccontare. Scrivo. Lo faccio da tempo per passione e per lavoro, anche da giornalista. Sono fortunato. Come si dice, “Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua”. Confucio aveva ragione (ma non ditelo ai boss). A questo punto dovrei scrivervi – per rispettare la linea editoriale che ci siamo dati – delle mie passioni. Due staccano su tutte e lo fanno di gran lunga: Giulia e Lorenzo. È infatti la sera che mi attende il lavoro più difficile, ma è anche quello che ti riempie il cuore. Fare il papà.